L’ozono rappresenta per la terra una sorta di schermo protettivo la cui riduzione avrebbe effetti negativi diretti sulla nostra salute: più lo strato si riduce e più aumenta la quantità di radiazioni che raggiunge la superficie terrestre.
Era il 1985 quando il Premio Nobel Sherwood Rowland usò per la prima volta l’espressione “buco dell’ozono” per indicare l’assottigliamento dello strato di ozono presente nell’atmosfera terrestre. L'ozonosfera, lo strato dell'atmosfera in cui è presente la maggior parte dell'ozono e corrispondente alla parte bassa della stratosfera, si trova tra i 15 e i 35 chilometri dalla superficie della terra. Rowland disse che la fascia risultava compromessa con conseguenze gravi per la vita sulla Terra. Per quanto riguarda gli uomini, le esposizioni prolungate a radiazioni ultraviolette causano danni agli occhi, alterazioni del sistema immunitario ma soprattutto tumori alla pelle.
A provocare l’assottigliamento di questo strato gassoso fino a causarne un vero e proprio buco sono state, nel corso degli anni, alcune sostanze inquinanti prodotte in gran parte dell'uomo, sia nelle sue attività produttive sia in quelle di consumo. Nello specifico, lo strato si dirada a causa del rilascio nell'atmosfera dei cosiddetti gas clorofluorocarburo emessi dalle attività umane nei Paesi più industrializzati e contenuti in particolare nei circuiti frigoriferi e nelle bombolette spray. Questi gas, reagendo chimicamente con l'ozono, provocano l'assottigliamento dello strato e l'allargamento del "buco" sopra le regioni polari, ovvero quelle meno esposte all’irraggiamento solare.
La data di oggi è stata scelta per ricordare che il 16 settembre del 1987 veniva approvato dalla Comunità internazionale il Protocollo di Montreal, un documento nel quale erano state catalogate le sostanze chimiche rilasciate dall’uomo nell’atmosfera. Il protocollo guidò all’applicazione di una serie di misure per contrastare l’assottigliamento dello strato di ozono e indicare nuove politiche in grado di facilitare il riassorbimento del “buco dell’ozono”.
Oggi quel documento, ratificato da ben 192 nazioni che si sono adeguate per l’interruzione della produzione e del consumo delle sostanze chimiche colpevoli, ha prodotto i risultati che si sperava di ottenere trentaquattro anni fa.
Il buco nell’ozono ha avuto la sua massima estensione nel 2000, ma grazie all’accordo canadese è stato possibile eliminare il 99% dei prodotti chimici che contaminano l’ozono attraverso frigoriferi, condizionatori e molti altri prodotti.
Secondo un rapporto condotto dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep) e l’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm), con la partecipazione della Nasa, della Commissione europea e del National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa), il buco dell’ozono è in via di riassorbimento, con aumenti dei livelli di ozono pari alla superficie degli Stati Uniti. Inoltre, in base all’ultima valutazione realizzata nel 2018, è emerso che dal 2000 il buco si è ridotto dall’1% al 3% per ogni decennio. Se i progressi dovessero proseguire a questo ritmo, le Nazioni Unite calcolano che l’ozonosfera potrà essere del tutto ricostruita nell’emisfero nord già nel 2030, mentre nell’emisfero sud si parla del 2050.
Oggi è importante ricordare che salvaguardare il nostro pianeta, investendo nelle energie rinnovabili e contribuendo alla riduzione degli sprechi, deve diventare sempre di più un obiettivo quotidiano da tradursi in azioni concrete per trasmettere un mondo migliore alle generazioni future.
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